Lo scorso 20 dicembre, per il concorso “Bravo chi legge!”, che ha visto impegnate sette classi seconde del nostro istituto, l’autore del libro in gara (Sul Grappa dopo la vittoria), Paolo Malaguti, insegnante del Liceo Brocchi di Bassano, si è intrattenuto con grande cordialità e disponibilità con gli studenti. Al termine è stato intervistato da Dabre Abdoul Moubarak , Daniele Franzina e Alessandro Boarotto, che gli hanno proposto le domande elaborate con la loro classe, la 2EI.
A conclusione di un anno molto intenso di lavoro, ci è sembrato utile proporre questa bella conversazione che, insieme alla arguzia e alla simpatia dell’autore, mostra la profondità dell’interesse dei ragazzi per l’universo della letteratura.
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Come e quando ha iniziato a scrivere?
“Ho iniziato a scrivere proprio con questo libro: “Sul Grappa dopo la vittoria”. Quindi, essendo uscito nel 2009, ho iniziato a scrivere un paio d’anni prima perché, da padovano, mi ero trasferito ai piedi del Grappa, è il Grappa mi è piaciuto molto, mi ha impressionato così tanto che ho cercato di farci una storia.”
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Quando ha iniziato ad immaginare un futuro da scrittore?
“In realtà mai. Nel senso che, comunque, ho continuato a fare l’insegnante perché è un lavoro che mi piace e perché è difficile, diciamo, vivere solo di scrittura. Non pensavo di arrivare a questo punto, cioè di, dopo questo libro, pubblicarne altri, che sono andati via via crescendo.”
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Qual è il pubblico a cui si rivolge?
“Non ho un pubblico, non penso a un pubblico preciso. Ho visto che “Sul Grappa dopo la vittoria” ad esempio è piaciuto anche agli studenti, appunto, sia delle medie che delle superiori. In generale, visto che mi piace l’argomento storico, chi ha una passione per il passato, per la storia, per il territorio credo possa avere qualche motivo in più per leggere i miei libri.”
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Come è nato questo libro e come ha raccolto le informazioni necessarie per scriverlo?
“Ho raccolto le informazioni sul campo cioè andando a cercare pubblicazioni locali (soprattutto nella zona della Pedemontana) sulla Grande Guerra. Poi, come dicevo, guardando i diari del prete, di Don Sante, e intervistando alcuni anziani del paese che ovviamente non hanno vissuto la prima guerra mondiale, ma hanno vissuto comunque l’infanzia negli anni ’20 e ’30 e quindi si ricordano quel contesto. Il motivo, come dicevo prima, è legato alla mia conoscenza del Monte Grappa, perché mi ha molto colpito vedere quante sono ancora le tracce della guerra ed è stato quello lo stimolo da cui son partito.”
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Alcuni personaggi sono ispirati a persone reali?
“Sì, allora, nella fattispecie don Sante appunto è reale e anche Moro Frun era effettivamente il guardiano della casa del cima Grappa e per come veniva descritto nei discorsi del Cai soprattutto, doveva essere un bel personaggio, allora mi è piaciuto inserirlo, anche la rivenditrice di ferro vecchio, la “Cueatona”, anche lei è davvero esistita.”
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Che rapporto ha con il personaggio principale del libro?
“Diciamo che gli ho affidato il compito di provare a trasmettere al lettore le emozioni che ho provato io le prime volte che sono salito sul Grappa. Lui chiaramente ha visto un Grappa proprio distrutto. Le tracce della distruzione ci sono ancora oggi, a saperle vedere, sono meno visibili, in particolar modo ci si rende conto di che cos’è una guerra con quelle dimensioni che ha visto morire quindicimila italiani e tredicimila austriaci. Finché hai un numero in testa è una cosa astratta. Quando vedi cosa sono quindicimila tombe, ti fai un’idea, purtroppo, più completa.”
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Assomiglia a lei o a qualcuno che ha conosciuto o è puro frutto di fantasia?
“Penso che inevitabilmente abbia degli elementi che mi assomigliano, anche se cerco sempre di costruire personaggi diversi da me, penso che un po’ metti dentro te stesso, soprattutto nella dimensione della scoperta della guerra. Invece mi sono ispirato a, diciamo così, un po’ ai racconti famigliari, un po’ ai racconti del paese ad esempio per tentare di raccontare il rapporto tra la famiglia e l’istruzione quando va a scuola, quando in particolare si apre il conflitto tra il protagonista liceale e la famiglia che è rimasta contadina. Ecco, lì non è cosa mia, ma ci sono racconti veri cui mi sono ispirato”.
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Per lei il Grappa è importante come per il protagonista?
” Dovrebbe esserlo! Sicuramente è uno spazio che amo molto, che mi piacerebbe conoscere di più e spero di conoscerlo sempre meglio. Dovrebbe essere un punto di partenza per riscoprire un po’ la nostra storia, purtroppo, spesso è più che altro il luogo di interesse turistico.”
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Cosa lo ha condotto a descrivere così dettagliatamente sant’Eulalia?
“Diciamo che mi serviva una specie di distrazione, cioè, il ragazzo non doveva concentrarsi solo sulla guerra. Mi sono posto il problema mentre ero a messa nella chiesa di Sant’Eulalia e mi stavo domandando come faccio a risolvere questo problema e avevo davanti a me il quadro, proprio quello la che c’è davvero di Sant’Eulalia, e allora ho detto: – Eh dai, potrei far sta roba qua. – E allora mi è venuta in mente l’innamoramento della Santa del quadro.”
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Perché ha lanciato delle puntigliose frecciatine ai vicentini nella parte dove parla delle scelte del patrono?
“Non ce l’ho con i vicentini più di quanto ce l’abbia con i trevigiani o con i padovani. Il problema qual è? È che volevo rappresentare una dimensione della vita di paese che un po’ oggi è scomparsa, anche se ce n’è ancora qualche traccia. Borso del Grappa è proprio vicino al confine tra la provincia di Treviso e la provincia di Vicenza. Ed è viva, ancora oggi, nella memoria, una rivalità profonda tra le due città. Solo perché trevigiani sono da una parte e vicentini dall’altra. Allora, visto che il protagonista che è trevigiano, mi sono immaginato, per renderlo più realistico, che litigasse o comunque provasse antipatia per i vicentini.”
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Cosa pensa della guerra che in questo libro ha narrato in modo così vero ma, allo stesso tempo, delicato?
“Questa guerra, secondo me, è stata una guerra unica per molti aspetti. Se non altro perché è stata la prima con queste caratteristiche tecniche, con questa dimensione della morte che prima nel mondo non si era mai vista. Per questo, secondo me, ha tanti aspetti che ancora oggi devono essere approfonditi, insomma, un po’ di più. Si dovrebbe farlo chiaramente a scuola, ma non solo. Credo che ogni appassionato possa prendere e andare a camminare sui luoghi della Guerra e scoprire queste cose.”
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Quali autori l’hanno formata di più nel suo essere oggi scrittore?
“Ci sono degli autori che mi hanno ispirato nelle mie letture quando ero un ragazzo quindi, soprattutto, direi Jules Verne, che era uno scrittore d’avventura, Stephen King, scritture del terrore e dell’orrore, e poi un autore che adesso è passato un po’ di moda: Guareschi, quello che ha scritto “Don Camillo e Peppone”. E poi le fiabe italiane di Italo Calvino, quelle le ho lette tanto e mi son piaciute. Poi da grande, diciamo così, ho scoperto gli scrittori del romanzo storico, che mi piacciono molto, primo fra tutti Umberto Eco, e nell’ambito italiano oggi mi piace molto il Wu Ming, che è un collettivo di scrittori bolognesi, i quali scrivono proprio romanzi storici molto ben documentati.”
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Anche per lei D’Annunzio scrive solo “monade”?
“Sì, diciamo che non è l’autore che mi sta più simpatico della letteratura italiana, però gli vanno riconosciuti dei meriti nello sviluppo della metrica e della lingua poetica che non possiamo fare finta di non sentire. Però, al di là di questo, nella vita privata non è che proprio, a me, stia molto simpatico.”
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Qual è la parte che preferisce del suo libro?
“Credo proprio le salite in Grappa cioè quando il protagonista fa il recuperante e scopre la guerra. È tutto partito da lì.”
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I suoi libri sono sempre stati accolti favorevolmente dalle case editrici, dai critici, dal pubblico o ha avuto qualche rifiuto?
“È partita così: con questo libro mi è andata proprio di fortuna, nel senso che, l’ho presentato alla casa editrice Santi Quaranta, che mi ha risposto e dopo, in realtà, tutto è venuto da sé, perché ho fatto altri due libri con la Santi Quaranta e dopo sono passato alla Neri Pozza con un agente letterario. Premesso ciò, quando scrivi devi essere pronto ad accogliere recensioni belle senza montarti la testa e recensione brutte senza deprimerti. Io ho preso sia le une che le altre e ritengo che per questo non si debba farne una tragedia.”
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Il primo libro che legge il protagonista in biblioteca è un libro di Victor Hugo, lei che cosa pensa di questo autore?
“Io l’ho scoperto tardi purtroppo, l’ho letto all’università, non prima. Ho letto proprio “L’uomo che ride” come primo romanzo e (qua dico una cosa del tutto soggettiva) credo che la narrativa francese sia stata davvero tanto importante per lo sviluppo della letteratura europea, a mio avviso più di quella russa, però qua dico una cosa in cui credo io, poi ognuno ha i suoi gusti”
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La sua esperienza da docente le ha permesso di capire meglio quali sono i gusti delle nuove generazioni in relazione ai libri?
“In realtà, credo che i vantaggi che ho come insegnate siano non tanto di capire i gusti perché i ragazzi da un certo punto di vista son sempre un bell’enigma, un bel mistero, ma l’insegnamento, rispetto ad altri lavori, ti dà un gran vantaggio. È un lavoro che ti obbliga ad essere creativo: entri in classe e sai che non puoi accontentarti di fare qualcosa che hai pensato, ma devi incontrare anche le esigenze di chi hai in classe e quando scrivi bene o male è così. Infatti tu hai in mente un filone e dopo questo si scontra con la realtà e devi inventare qualche cosa di diverso ed essere insegnanti creativi aiuta.”
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Se lei potesse consigliare soltanto tre libri, quali sono per lei tre letture irrinunciabili?
“Irrinunciabili direi: l’“Inferno” di Dante; ci mettiamo dentro almeno una tragedia di Shakespeare, a scelta, e un romanzo grosso dell’Ottocento, anzi, no, non un romanzo grosso, il primo romanzo: “Don Quixote”. Queste tre qua, secondo me, non sono male.”
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Grazie Professore.“Grazie a voi”.