incipit – enzo striano, Il resto di niente

 il resto di nientestriano

– Meu Desus, que calor!

Lenòr si levava all’alba, estenuata. Nelle notti d’agosto, alla vecchia casa di Ripetta imposte semiaperte e dilagavano i miasmi: vapori di vino, erbe putride, urina, brulicanti dall’acqua marcia che infettava gli scalini melmosi nell’antico porto.

Cosa non si disfaceva per quel tratto sordido di fiume! Barconi tenuti insieme con spago, carogne d’animali, stracci.

Norcinai e pesciaroli sventravano sul molo capretti, polli, pesci di mare o di Tevere, poi spazzavamo a secchi d’acqua, facendo precipitare pei gradini  torrenti di rigaije (dicevano così, aveva imparato bene la pronuncia) sanguinolente, pallidi gomitoli di grasso, cordate palpitanti d’intestini.

Ma le piaceva osservare la vita sudicia, clamorosa, di Ripetta, dal balconcino delle sue prime esperienze romane. Da lì vedeva canne e olivastri a riva di Trastevere, le acque finalmente pulite nell’ansa dopo Ponte Sisto.

Verso Ponte Sant’Angelo galleggiava il gran mulino delle sue fantasie, fatto di rami e di corde. Era attraccato a un pontile per due gomene sfilacciate. Se il padrone avesse voluto, sarebbero bastati una voce, un frullo di ormeggi e via: il mulino avrebbe ripreso a navigare, spinto dalla corrente. Magari verso il mare.

(Enzo Striano, Il resto di niente, Avagliano, Napoli 2002 [edizione originale 1986])

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Commenti chiusi