recensione a cura di Alice Gironi, 1A Classico Liceo “Brocchi” Bassano
HO SEMPRE AVUTO FAME D’AMORE
Nella solitudine del sovraffollamento di una città come Tokyo, due ragazzi non ancora ventenni che camminano insieme, in silenzio, paiono immagini, simboli di una realtà parallela, fili che si diramano fino ad invadere la mente. E’ un silenzio che fruga internamente; gli occhi di lei, Naoko, cercano salvezza in quelli di lui, Watanabe, quasi alla ricerca disperata di una fonte nuova. Ma Naoko, con i suoi pianti improvvisi e le sue piccole mani, non è del mondo. La vita che pulsa nelle vene di Watanabe la lacera, facendola soccombere in un oblio solo apparente. E’ oppressa dalla paura, parlando, di tornare al segreto che la unisce a Watanabe tra la folla di un’inquieta Tokyo del ’68: ricordare una sconvolgente tragedia che a poco più di sedici anni l’ha segnata per sempre e per sempre l’ha unita e divisa da Watanabe.
Lo struggimento risuona profondo tra l’estraniazione del vivere forse già morti, tra l’impotenza di non poter salvare la persona amata da un vortice che esiste solo nella sua mente e vederla risucchiata da un dolore più grande, un dolore che si respira, che come una vetrata mostra la vita, e assieme ad essa la salvezza, appena più in là. Naoko è spettatrice impotente della vita intorno a lei, senza poter comunicare il tumulto che la uccide poiché è lei stessa causa di quella sofferenza e, come colpevole, nella sua mente non riesce a vivere.
Magnificamente tratteggiato dall’autore, un filo impercettibile ma vitale, scandito dai Beatles, dai Doors, da Bill Evans e Miles Davis, disposti lungo il fluire dei ricordi come nostalgiche pietre miliari accompagna il lettore lungo tutto il percorso della storia. La vita già sfuma a un’estremità del filo e l’amore per la stessa brilla dapprima fioco, poi sempre più fulgido nell’altra, fino a quando la tensione si fa insostenibile e rimane una freddezza glaciale. Solo l’amore scalfirà la durezza di una dolorosa malinconia, lasciando i personaggi e le loro storie immutate nel ricordo di un luogo che forse non è mai esistito.
In Tokyo Blues Haruki Murakami non ha solo raccontato una struggente storia d’amore adolescenziale. I suoi personaggi rimangono a lungo nella mente, sono vivi e pulsanti; il romanzo diviene parte integrante del lettore, cresce, si dirama dentro di lui e da lì non verrà mai sradicato, ma continuerà a esistere, per sempre.