recensione a cura di Martina Buston, 1A Classico Liceo “Brocchi” Bassano
Nell’immaginario comune, il nome Siddhartha porta inequivocabilmente a Siddhartha Gotama, il Buddha, una figura quasi leggendaria che sconvolse, tra il VII e il V secolo a.C., la scena religiosa indiana, dominata da secoli ormai dall’induismo. Nella stessa India, esotica e fuori dal tempo, che sceglie di non emergere se non nei nomi, in qualche breve descrizione e nello sfondo culturale (ampiamente esplicitato nell’esauriente introduzione a cura del traduttore), si ambienta il romanzo breve di Hesse, il cui titolo, Siddhartha appunto, non si riferisce al Buddha, ma a un altro, che anch’esso cerca (e troverà) l’illuminazione, che però, non sviluppando deliberatamente una sua dottrina, resterà ignoto e dimenticato. Il Gotama compare nella storia, come uno dei personaggi secondari che il protagonista incontra, attingendo dal suo sapere immenso per accrescere il proprio.
Siddhartha è sin dall’inizio uno che cerca, come molti personaggi di Hesse e lo stesso Hesse, qui memore e rievocatore dei viaggi compiuti in Oriente. Figlio di un Brahmano, sacerdote indù, già in giovane età dimostra una notevole sapienza, con rosee prospettive davanti a sé; questo tuttavia non riesce a placare la sua sete di verità e di risposte alle domande esistenziali che tormentano il suo animo. «Ma dove, dov’era questo Io, questa interiorità, questo assoluto?» questo è fondamentalmente ciò che cerca Siddhartha, ponendosi lo scopo di capire qualcosa che nessuno ha mai completamente compreso: se stessi e il mondo. Così il giovane, stanco di una dottrina ormai vuota, incomincia un viaggio che lo porterà a toccare i più diversi pensieri e modi di vivere, dalla penitenza devota dei pellegrini Samana all’incontro con Gotama, essere perfetto e completo che non può spiegare davvero la sua illuminazione, ai futili piaceri degli “uomini-bambini”, efficace metafora per illustrare l’assenza di profondità nella gente comune, che però il protagonista invidia, perché perdutamente innamorata di qualcosa che secondo lui non ha valore. È l’amore a mancare a Siddhartha, poiché impossibile da apprendere intellettualmente, come cercherà di fare affidandosi all’affascinante etera Kamala e che non conoscerà davvero fino all’incontro con il figlio avuto da lei. Qui l’uomo, ormai adulto, soffre intensamente, perché si accorge di non riuscire a donargli amore, alla fine «di tutte la cosa principale», poiché è la sola a smuovere davvero l’anima, pure quella composta e imperturbabile di Siddhartha, che in questo punto rivela la sua maggiore umanità.
L’ideale di conoscenza inteso a livello mentale viene profondamente messo in discussione nell’opera. Il protagonista, afflitto da una crisi s’identità quasi pirandelliana, raggiunge la tanto agognata illuminazione solo attraverso l’esperienza e lo smarrimento, condizione necessaria per trovare ciò che si cerca: «quando qualcuno cerca, […] allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa […] e che egli non riesca a trovar nulla». Corpo e anima, materiale e reale sembrano concetti contrastanti, eppure incredibilmente vicini: l’apparenza, recita la dottrina, non è reale, solo illusione, tuttavia Siddhartha si rende conto della natura delle cose anche osservandole, e quindi anche attraverso l’apparenza, espressione degli oggetti nel mondo. La natura delle cose, appunto, è l’ultimo argomento messo in discussione dal protagonista, o meglio la loro inclinazione: la barriera tra bene e male non esiste, o almeno non può essere netta e determinata, «mai un uomo, o un atto, è tutto samsara o tutto nirvana, mai un uomo è interamente santo o interamente peccatore».
È attraverso la storia che Hermann Hesse esprime questa profondissima riflessione filosofica, che si condensa nel discorso finale di Siddhartha. Leggendolo, si rimarrà intensamente colpiti e ammirati, come Govinda, l’amico fedele che dopo aver abbandonato il protagonista lo ritrova, come “uomini-bambini” quali noi siamo, così perdutamente innamorati del mondo da non poter non essere toccati da questo altissimo pensiero.