libri di scuola – matilde serao, scuola normale femminile

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Mentre suonava la campana delle otto, nel corridoio lunghissimo, stretto, molto buio, cominciarono a penetrare le alunne. Dalla porta che dava sulla scala, incorniciata da una raggera di ferro, per dare un po’ di luce a quel budello umido di corridoio, venivano le alunne esterne; dalla porta opposta, piccola e socchiusa, che dava sul convitto, comparivano le convittrici, a due a due. E subito, nel senso della lunghezza, due immense file si formarono: lungo la muraglia sinistra, chiusa, senza una porta, tutte le esterne; lungo la muraglia di destra, tagliata da quattro porte, le tre stanze dei corsi e la direzione, quattro porte chiuse, si misero le convittrici. — A noi, signorine! — aveva già esclamato tre volte l’alunna De Donato, una giovanottona di ventotto anni, avellinese, che aveva dovuto debuttare come cantante e poi aveva perso la voce. Ma le alunne interne non udivano il segno: le esterne seguitavano a chiacchierare fra loro, coi cappellini ancora sul capo, i paltoncini abbottonati, le gonnelle succinte per non infangarle, le scarpe tutte inzaccherate, i libri sotto il braccio, una scatola di compassi in mano o un rotolo di carta o un cartoccetto per la colazione, portandosi addosso tutto l’umidiccio di quella mattina piovosa. Le interne erano più quiete, coi loro vestiti bigi bene asciutti, i colletti bianchi e il nastro di velluto nero nei capelli, i libri legati con un nastro o con una stringa di guttaperca: ma Carmela Fiorillo, la simpatica dagli occhi neri e dalla bocca porporina, al solito, perdeva il sangue dal naso; Alessandrina Fraccacreta, la bruttona sentimentale, aveva una flussione all’occhio destro che la rendeva orrenda, malgrado la cipria che ella adoperava di nascosto, e l’acconciatura dei capelli, per cui andava sempre in castigo; Ginevra Barracco si soffiava il naso continuamente, piangendo senza averne voglia; Giovanna Abbamonte aveva un panericcio alla mano sinistra, dopo averne avuto uno alla mano destra; e tutte le interne avevano l’aria infermiccia, pallida, di ragazze che vivono in luogo umido, che mangiano male, che dormono col gas acceso. Cantare? Ma nè le esterne, nè le interne avevano voglia di cantare, quella mattina: le esterne già stanche del cammino fatto e della pioggia presa e della melma calpestata; le interne accasciate da quel grande convento di Gesuiti che filtrava acqua da tutte le mura e che minacciava rovina. — A noi, signorine — gridò la De Donato, battendo le palme e intuonando la prima nota.

(Matilde Serao, Scuola normale femminile, Napoli, Liguori, 1997 ed. orig. 1885)

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