L’allievo Ernesto Astarita, che è figlio del mio amico Michele, senza preavviso è balzato su e ha detto interrompendo la lezione: “Perdono. La lettera di Calvino” Poi ha sottolineato: “E’ urgente, cercando di di farmi capire che il padre aveva fretta di parlarmene.
Mi sono passato sulla fronte le dita impolverate di gesso. Ho rivisto la busta di quella lettera tra le mani di Michele. Mi è comparsa davanti la borsa di cuoio del postino, forse anche il postino. Mi sono figurato il corpo metallico della macchina da scrivere, dal quale si erano protese le aste ricurve lasciando sul foglio le zampate dell’alfabeto. Poi mi sono accorto che ricordavo con precisione particolari mai annotati e ho scoperto che conservavo nella memoria non i fatti genuini da ordinare in sequenza, ma uno stereotipo da cinematografo costruito con tutte le buste, le borse di cuoio, i postini e e le macchine da scrivere della mia vita. Allora mi sono agitato e anche gli studenti si sono agitati scrollandosi di dosso l’aria densa che ne appannava le facce.
Ho chiesto a Ernesto: “Spiegami”. Ma lui non mi ha spiegato, un po’ perché non si ricordava di preciso il messaggio di Michele; in po’ perché la lingua italiana non è il suo forte. Però mi è bastato quel poco per capire:ci siamo; l’ho fatta franca per troppo tempo e ora è arrivata la resa dei conti.
Deborah è uscita dal banco e mi ha cancellato il gesso dalla fronte con un fazzoletto di carta. L’ha fatto non per sollecitudine materna, ma solo per far ridere la classe.
(Domenico Starnone, Il salto con le aste, Feltrinelli, Milano 1989)