recensione a cura di Michelle Vicari classe 1^BT – Liceo Scientifico “Paolo Lioy” – Vicenza
“L’Alchimista” è un romanzo, un genere a me sconosciuto finora.
Quando penso a come dovrebbe essere un libro, mi viene sempre in mente una metafora di Gianni Rodari: egli paragona anche solo una parola, un’immagine, un suono a un sassolino in uno stagno che,nell’istante in cui sfiora la superficie liscia e immobile dell’acqua, provoca una serie di reazioni a catena che ne sconvolge il fragile equilibrio, fino a crearne uno di nuovo: la formazione di piccole increspature nell’acqua, che si propagano e scuotono una foglia galleggiante, la fanghiglia sollevata dall’impatto del sasso sul fondale, la spinta che fa vibrare le alghe… e d’un tratto di nuovo a quiete, ma quello specchio d’acqua non è più lo stesso.
Quello stagno, in realtà, è la nostra mente così sensibile ma labile allo stesso tempo.
La ricchezza di un libro sta nella sua capacità di far riflettere e suscitare l’immaginazione,quando dà la possibilità di percepire in modo diverso il messaggio nascosto nel linguaggio e nello stile dell’autore.
Invece ne “L’Alchimista” sembra che lo scrittore ,raccontando in modo così esplicito e ripetendo più volte gli stessi concetti, voglia convincere il lettore dell’unicità del suo pensiero, non lasciar spazio a un punto di vista diverso dal suo, se non il rifiuto totale delle sue idee.
Tuttavia ho comunque apprezzato la trama e l’ambientazione del racconto: il tema del viaggio dove il giovane ragazzo ingenuo e inesperto scopre l’affascinante cultura araba, disdegnata da lui stesso e dal suo popolo, diverrà per lui maestra di vita.
E i paesaggi dell’Africa settentrionale impregnati di misticismo, dilaniati da antichi conflitti e il deserto che con la sua sabbia leviga l’animo di chi li attraversa.