incipit – umberto eco, il nome della rosa

eco

E’ morto, a 84 anni, Umberto Eco, filosofo, linguista, saggista, scrittore, Sicuramente uno degli intellettuali italiani più conosciuto a livello internazionale. Il nome della rosa nel 1980, è il suo primo romanzo, tradotto in moltissime lingue, diffuso in oltre 20 milioni di copie. Proponiamo qui un doppio incipit, quello della manzoniana finta introduzione, e quello della storia vera e propria

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Naturalmente, un manoscritto

Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en français d’après l’édition de Don J. Mabillon (Aux Presses de l’Abbaye de la Source, Paris, 1842). Il libro, corredato di indicazioni storiche invero assai povere, asseriva di riprodurre fedelmente un manoscritto del XIV secolo, a sua volta trovato nel monastero di Melk dal grande erudito secentesco, a cui tanto si deve per la storia dell’ordine benedettino.La dotta trouvaille (mia, terza dunque nel tempo) mi rallegrava mentre mi trovavo a Praga in attesa di una persona cara. Sei giorni dopo le truppe sovietiche invadevano la sventurata città. Riuscivo fortunosamente a raggiungere la frontiera austriaca a Linz, di lì mi portavo a Vienna dove mi ricongiungevo con la persona attesa, e insieme risalivamo il corso del Danubio.

Prologo

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questa era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l’unico immodificabile evento di cui si possa asserire l’incontrovertibile verità. Ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell’errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutto intesa al male.

Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto  senesco come il mondo, nell’attesa di perdermi nell’abisso senza fondo della divinità silenziosa e deserta, partecipando della luce inconversevole delle intelligenze angeliche, trattenuto ormai col mio corpo greve e malato in questa cella del caro monastero di Melk, mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi memorabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere, ripetendo quanto vidi e udii, senza azzardarmi a trarne un disegno, come a lasciare a coloro che verranno (se l’Anticristo non li precederà) segni di segni, perché su di essi si eserciti la preghiera della decifrazione.

(Umberto Eco, Il nome della Rosa, Bompiani, Milano 1980)

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