Con il titolo Una lezione d’ignoranza Astoria edizioni ha pubblicato il testo della lectio magistralis che Daniel Pennac ha tenuto in occasione del conferimento della laurea ad honorem in pedagogia dell’Università di Bologna, nel marzo 2013. La parte di quella lezione che qui riportiamo ci sembra la perfetta espressione, quasi un “manifesto” di ciò che deve intendersi come “promozione della lettura”
Parliamo un po’ della lettura, ora. Del famoso ruolo della lettura. Non penso affatto che la letteratura sia la panacea assoluta contro la stupidità massificata o il consumismo ipnotico (…) Tuttavia, tuttavia, non riesco a togliermi dalla testa l’idea che la compagnia dei nostri autori preferiti ci renda più frequentabili a noi stessi, più capaci di salvaguardare la nostra libertà di essere, di tenere a bada il nostro desiderio di avere e di consolarci della nostra solitudine. Proprio quella libertà occorre restituire ai nostri studenti più in rotta con la letteratura, riconciliandoli con la lettura.
Perché, poi questi ragazzi ce l’hanno così tanto con la lettura? A sentir noi, se loro “non amano leggere “la responsabilità è tutta del mondo che abbiamo sotto gli occhi: disoccupazione, famiglie monoparentali, abdicazione della figura paterna, crollo dei valori, consumismo sfrenato, ciber-tentazioni…E’ colpa del sistema, è colpa della modernità. Certo, è vero, la colpa è di tutto questo. Ma non è anche colpa nostra? Di noi insegnanti di lettere?
Vi propongo un esercizio. All’inizio del prossimo anno scolastico, mettetevi all’ingresso di una libreria. Noterete che la maggior parte degli studenti entra come in una farmacia. Si presentano al libraio con la famosa “lista dei libri da leggere”, come un paziente con la ricetta. Vedono il libraio sparire nel retro, con la lista in mano, e ricomparire nascosto dalla pila dei testi “indicati”. Sia detto tra parentesi, il termine “indicazione” non mi pare il più appropriato quando si parla di invito alla lettura. Sa troppo di foglietto illustrativo di una medicina: “Mi prendi tre gocce di Mallarmé (o di Pascoli) mattina e sera in un bicchiere di commenti…Un mese di Madame Bovary (o di Promessi sposi) e vedremo poi i risultati delle tue analisi… La ricerca del tempo perduto (o La coscienza di Zeno) e mi raccomando non interrompere la cura prima della fine…” Orribile.
Finiti gli studi, la maggior parte di questi giovani adulti ricorderà tali autori soltanto come nomi che hanno incarnato l’obbligo di leggere imposto dai programmi scolastici. E, il giorno in cui un fast food prenderà il posto della libreria o della biblioteca di quartiere, anziché protestare vi porteranno la prole per trascorrere un momento di libertà in un posto qualsiasi purché non collegato ai libri.
Questa indifferenza verso la lettura è anche il frutto di un insegnamento medico-legale della letteratura. Ma l’unica frettolosa conclusione che ne sappiamo trarre è che loro non si interessano alla letteratura e che, pertanto, “non amano leggere”.
In realtà, così come alcuni medici specialisti si interessano più alla malattia che ai malati, troppo spesso noi pedagoghi scendiamo in campo in difesa della letteratura senza preoccuparci di creare dei lettori. Ci atteggiamo a guardiani di un tempio che ci rammarichiamo di vedere ogni giorno più vuoto, compiaciuti però di saperlo così ben custodito.
(Daniel Pennac, Una lezione d’ignoranza, Astoria 2015, pp. 18-22)